La partecipazione nello sviluppo locale sostenibile

 

di Mario Spada

 

(Architetto, Direttore Unità “Sviluppo locale sostenibile”, IX Dipartimento, Comune di Roma)

 

 

Premessa 

 

L'ultimo decennio di programmazione dello sviluppo del territorio, nello scenario internazionale, europeo e nazionale, vede l'affiorare e l'intrecciarsi di diversi programmi che hanno tre denominatori comuni:

-        sviluppo locale affidato a programmi  integrati dal punto di vista delle risorse e delle politiche settoriali;

-        coinvolgimento progettuale della società civile tramite varie forme di partecipazione e concertazione;

-        qualità progettuale affidata principalmente a parametri di sostenibilità ambientale.

 

Integrazione, partecipazione e sostenibilità costituiscono le tre chiavi d'intervento ed interpretazione delle azioni più innovative che si sono svolte o si stanno sviluppando nel campo della pianificazione del territorio.

 

Sul piano internazionale un grande contributo è venuto dalla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su Ambiente e sviluppo, promossa dalle Nazioni Unite, che  ha avviato un processo ampio, per quanto difficile e controverso, di accordi internazionali ed azioni locali indirizzate a configurare  un panorama di sostenibilità  ambientale per il nostro pianeta.  Nell'ambito delle azioni locali il programma Agenda 21 ha rappresentato un'efficace guida di riferimento che ha almeno tre meriti: la chiarezza degli obiettivi, l'attenzione al  coinvolgimento degli attori locali, la libertà di adesione al programma di qualunque soggetto pubblico e privato. Agenda 21 è un programma di lavoro avviato nel nostro paese solo da pochi anni in alcune città pilota, tra cui Roma. Tuttavia, grazie al bando del Ministero dell'Ambiente pubblicato su GU del 28.12.2000 cui hanno aderito centinaia di Amministrazioni locali, comincia a diventare una riconosciuta e autorevole linea programmatica che vedrà interessanti sviluppi futuri, anche grazie all'impegno del Coordinamento italiano Agenda 21 che si è da poco costituito in Associazione e vede la presenza di circa 300 Amministrazioni locali in qualità di soci.

 

Il programma di Agenda 21,  articolato in quaranta articoli, prende in esame tutte le possibili aree di intervento e tutti i soggetti della società, dell'economia e della scienza che possono avviare buone pratiche di sostenibilità o che devono essere sostenuti con azioni di riequilibrio delle risorse. Nella conduzione del programma, che è di tipo incrementale, implementabile nel corso dell'attuazione del piano d'azione, la partecipazione costituisce un inderogabile presupposto metodologico da esercitare tramite un Forum permanente.

 

Sulla scena  europea il programma Urban, promosso dalla Direzione Generale XVI della Commissione Europea, ha introdotto un nuovo approccio alla riqualificazione dei quartieri periferici degradati introducendo esplicitamente  l'integrazione delle politiche settoriali e la partecipazione degli abitanti come requisiti essenziali per l'efficacia dell'azione.

Sempre a scala europea è stata avviata da pochi anni la stagione dei piani strategici. Alcune grandi e medie città, tra cui alcune italiane, hanno predisposto o stanno redigendo piani strategici che rispondono alla necessità di ricomporre le politiche settoriali  nel disegno di uno scenario di sviluppo condiviso con i principali soggetti economici e sociali della città. Lo scopo è di definire un piano d'azione teso a raggiungere obiettivi di sviluppo in grado di sostenere la sfida della globalizzazione. Anche in questo caso sono coniugati lo sviluppo locale, la sostenibilità ambientale e la partecipazione: il piano d'azione è, infatti, redatto nel corso di un processo di interazione progettuale con i rappresentanti della società civile, tramite  un Forum, e  gli obiettivi individuati sono generalmente molto attenti alla qualità della vita e all'ecologia urbana che, nella città postindustriale, rappresentano due fattori di promozione degli investimenti produttivi.

 

Sul piano nazionale registriamo, dal 1998 in poi, due programmi innovativi, promossi dal CER (Comitato Edilizia Residenziale) del Ministero Lavori Pubblici, nell'ambito della più vasta famiglia dei programmi complessi: i contratti di quartiere e i PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio) [1].  Il bando ministeriale per i contratti di quartiere prevede una sperimentazione edilizia orientata ad innovazioni nel campo  dell'architettura ecocompatibile  e propone, per la prima volta  in un bando ministeriale, l'utilizzo di metodi di condivisione progettuale con i cittadini residenti.

Il bando relativo ai PRUSST si fonda sul principio, mutuato dai patti territoriali e contratti d'area, della concertazione con gli attori del territorio e pone la sostenibilità ambientale delle proposte come un requisito irrinunciabile di qualità.

Per concludere questa rapida rassegna di programmi in corso possiamo affermare che tutti i programmi innovativi di sviluppo locale - di area vasta o di quartiere- cercano in varie forme di coniugare la partecipazione e la sostenibilità ambientale: nella qualità delle relazioni reciproche tra questi due aspetti risiede la qualità generale di un intervento si sviluppo territoriale.

 

1. territorio , comunità  e  detentori di interessi locali

La città di oggi è profondamente diversa rispetto a quella del dopoguerra che aveva nel Piano Regolatore lo strumento principe delle regole di espansione; nell'ultimo decennio è apparso con evidenza che la pianificazione deve principalmente governare le trasformazioni nel territorio ove è presente una quantità notevole di attori che aspirano ad essere protagonisti delle trasformazioni: dai possessori di rendita fondiaria alle società immobiliari, dagli imprenditori industriali alle organizzazioni sindacali, dalle Camere di commercio alle aziende pubbliche, dalle Università alle Aziende Sanitarie Locali (queste ultime incoraggiate ad occuparsi di trasformazioni urbane dal recente conferimento di autonomia di gestione). Ma tra questi attori che, in vario modo, appartengono comunque alla sfera dei poteri forti, emergono ,con più forza che in passato, una folta schiera di comitati di quartiere, associazioni culturali e noprofit, che sono apparsi alla ribalta con una forte capacità d'azione nel costruire i fronti del no a trasformazioni urbane considerate lesive della condizione esistente ( è nota la sindrome NIMBY - Nothing In My Back Yard , che possiamo liberamente tradurre in : Niente sotto casa mia) . Tuttavia , anche  grazie ai programmi internazionali e nazionali citati, il protagonismo dei cittadini sta assumendo sempre più i connotati positivi della partecipazione progettuale e della volontà di ricostruire vincoli comunitari nelle aree più difficili sotto il profilo urbanistico e sociale.

Il coinvolgimento di tutti gli  attori è  indispensabile sia per reperire risorse economiche aggiuntive ,che spesso rappresentano la quota principale degli investimenti di un programma di sviluppo territoriale, sia per definire parametri di equità sociale che rischiano di essere travolti dalla deregulation normativa  che spesso si accompagna ai programmi complessi.

Nel linguaggio urbanistico anglosassone, che ha introdotto per primo la cultura ed i metodi della progettazione partecipata, si fa distinzione tra stakeholders e stockholders: i primi sono i detentori di interessi locali, cioè coloro che vivono il territorio in qualità di residenti o di esercenti di attività sociali, economiche ,culturali; i secondi  sono i detentori di capitali, che possono investire in quel territorio come in qualunque altro sia ritenuto conveniente.

Il conflitto urbano e i protagonismi contrapposti dei due fronti  si manifestano quando gli interessi appaiono nettamente divaricati, quando gli stockholders - e le Amministrazioni locali consenzienti-  fanno prevalere la logica del profitto a scapito degli  abitanti e della qualità ambientale.

A fronte di sempre più frequenti casi di conflitto urbano sorto da questa contrapposizione, ha acquistato autorevolezza etica e disciplinare - oltre che convenienza economica-  l'urbanistica

negoziata,contrattata ,partecipata.

Nell'ampia famiglia dei programmi complessi (programmi di riqualificazione urbana, programmi di recupero urbano, patti territoriali, contratti d'area , PRUSST) assume una posizione di rilievo tutto l'aspetto della negoziazione e contrattazione con i soggetti economici : operatori delle costruzioni, camere di commercio, Associazioni industriali .Talvolta gli stockholders sono anche stakeholders - operano nel territorio - talvolta sono completamente estranei. La rappresentanza sociale dei detentori di interesse locale è affidata o alle Organizzazioni Sindacali ( ad esempio nei contratti d'area o nei patti territoriali relativi ad aree industriali in declino) o alle organizzazioni spontanee dei cittadini -comitati di quartiere, associazioni noprofit- che si costituiscono ad hoc per promuovere o contrastare un programma di investimento.

In questi casi si assiste ad una sorta di autoregolazione territoriale , nel corso della quale si costituiscono interessi comuni tra i cittadini e si disegna uno scenario di sviluppo soggettivamente sostenibile  frutto di un lavoro di partecipazione progettuale.

Va detto che alcuni programmi complessi che implicano la concertazione hanno dato esiti poveri o insoddisfacenti a causa principalmente del permanere, nell'ambito delle Pubbliche Amministrazioni, di un metodo  dirigistico o burocratico nello svolgimento delle procedure  di concorso progettuale dei soggetti privati. In altri termini il programma è stato presentato prevalentemente come occasione di investimento, in concorrenza con altri soggetti, senza che siano stati ben chiariti gli indirizzi strategici di quel territorio, le sinergie possibili, le integrazioni settoriali, gli impatti sociali, senza far leva su quella grande risorsa che si chiama creatività sociale.

E' ormai ampiamente dimostrato che un approccio alla pianificazione territoriale non inclusivo, che esclude parte degli stakeholders e in particolare i soggetti apparentemente più deboli, produce risultati negativi per gli stessi investitori. Il metodo tradizionale di intervento, che studiosi inglesi hanno sintetizzato in:  Decidi,annuncia, difendi (DAD), si è rivelato perdente sia perché innesca la conflittualità rafforzando nei cittadini il sospetto che le decisioni prese a loro insaputa tra i poteri forti  aggravi le condizioni esistenti, sia perché risulta, in ultima analisi, un percorso più lungo di quello ottenuto con un approccio inclusivo e consensuale.

I programmi di sviluppo locale dovrebbero essere affrontati nono solo con la preoccupazione di ridurre i fattori di  resistenza opposta dai cittadini, ma dovrebbero essere costruiti dal basso valorizzando la sapienza del territorio custodita, in forme diverse, da tutti coloro che ci vivono. Così si può unire in modo creativo il passato, il presente ed il futuro del territorio, recuperare la memoria storica dei luoghi , innestare i nuovi investimenti nel tronco della vocazione ambientale e della tradizione sociale del luogo, valorizzando quanto è ancora vivo in termini di valori comunitari.

Viene in soccorso ad una visione strategica , sostenibile e partecipata  del territorio la recente legge approvata dal Parlamento Europeo ( legge 42/2001 del 27 giugno) che impone che i documenti regionali di programmazione per i quali si richiedono finanziamenti dai fondi strutturali siano accompagnati dalla VAS ( Valutazione ambientale Strategica) . Poiché la cultura e la pratica della sostenibilità ambientale rifugge dai tecnicismi dirigisti e considera essenziali i processi bottom up - coinvolgimento dal basso dei soggetti -,  possiamo ritenere che la pratica della progettazione partecipata vedrà una nuova stagione di sperimentazioni e di successi.

 

2.partecipazione e qualità

Il tema della partecipazione solleva critiche ed opposizioni  di varia natura.

Ci sono coloro che ritengono che possa indebolire il potere della democrazia degli eletti (democrazia rappresentativa); coloro (ad es. tra gli investitori) che ritengono che si allunghi e si complichi ulteriormente il percorso della realizzazione di un progetto con relativo danno economico. Ai primi si può obiettare che l'attivazione di strumenti di democrazia diretta, su progetti specifici, non inficia anzi potenzia gli strumenti della democrazia rappresentativa. Peraltro anche il legislatore ha inserito, nel Testo Unico Enti Locali , riprendendo quanto già espresso nelle precedenti leggi 142 e 241 del 1990, espliciti riferimenti alla partecipazione : " i comuni,anche su base di quartiere e di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale . I rapporti di tali forme associative sono disciplinati dallo statuto " ( comma 1 art. 8  DL 267/2000). Gli altri commi dell'art. 8 insieme agli  art. 9 e 10 dello stesso Testo Unico precisano  modalità e forme della partecipazione, del diritto all'informazione e del ruolo delle associazioni di protezione ambientale. 

Sulle lungaggini amministrative cui condurrebbero i processi di partecipazione è stato già detto precedentemente ed è ampiamente dimostrato che nella stragrande maggioranza dei casi un progetto condiviso vede più lunga la fase iniziale di definizione preliminare, ma abbrevia le fasi successive perché gli elementi conflittuali sono già stati analizzati e si sono cercate le soluzioni per la composizione del conflitto.

A coloro che ritengono la partecipazione esclusivamente un requisito di democrazia si può suggerire di aggiungere il tema della qualità. Un progetto veramente partecipato contiene in sé non solo più democrazia ma anche una qualità maggiore perché risponde in modo più calzante alle aspettative di coloro che saranno gli utenti di quel determinato edificio o spazio urbano; non limita le opportunità creative del progettista, ma le potenzia.  E' opportuno al tal proposito uscire dagli stretti confini disciplinari, così come si sono definiti nel corso del tempo, e curiosare tra le teorie e le pratiche d'altre discipline ove il tema della qualità diventa fattore di successo sul mercato mondiale. E' il caso della qualità totale praticata in molte realtà produttive dove si crea una relazione virtuosa tra i vari settori del ciclo di produzione e si utilizza l'intelligenza di tutti coloro che sono coinvolti nel processo produttivo2.

In secondo luogo si mette al centro il consumatore che è considerato il riferimento principale nello studio e realizzazione del prodotto3.

La lettura dei testi relativi alla qualità totale evoca una visione olistica dell'attività umana, una filosofia della produzione che sembra voler ricostruire un rapporto di totale adesione tra l'organizzazione degli uomini che producono, il prodotto e gli uomini che usano i prodotti; se si pensa che l'elaborazione più compiuta di questa teoria, peraltro ampiamente messa in pratica in ogni parte del mondo, è il Giappone , viene alla mente la filosofia Zen e il tentativo di risaldare ciò che la tecnologia moderna ha scisso: l'uomo e l'esercizio quotidiano dell'arte4.

Il rapporto tra partecipazione e qualità non deve tuttavia essere visto in modo iconoclastico. Ci sono correnti di pensiero che , sfruttando l'indubbia difficoltà disciplinare che attraversa l'architettura e l'urbanistica, pensano ad una sorta di punto zero o di tabula rasa, ove non si distinguono più ruoli e competenze professionali , ove si disegnano sic et simpliciter i desiderata del committente o dei cittadini, ove si giustificano  interventi che poco hanno a che fare con la qualità architettonica ed urbanistica. Non dobbiamo dimenticare  che la storia e la cultura di una disciplina non si cancellano con un colpo di spugna, che l'attività di partecipazione progettuale non rende più inutile il progettista , ma al contrario ne accentua responsabilità e competenze , perché deve saper comprendere la complessità, selezionare i requisiti essenziali, fare sintesi della molteplicità;  deve essere in grado di resistere alle opposte  semplificazioni della ideologia modernista da un lato e del ritorno al passato dall'altro ; deve  saper ascoltare  in modo approfondito per dare  risposte adeguate, deve saper volgere lo sguardo a tutte le innovazioni tecniche , procedurali e culturali in modo attento e critico  per  essere interprete del suo tempo.

 

3. I tre livelli della partecipazione.

La partecipazione dei cittadini può assumere varie forme e le Pubbliche Amministrazioni che la promuovono debbono avere piena consapevolezza dei risultati possibili secondo le iniziative messe in campo e dei metodi proposti. Proprio perché tocca aspetti molto delicati, contigui alla politica, deve essere gestita con rigore metodologico e non lasciata all'improvvisazione.

E' consigliabile limitare gli incontri informali di tipo assembleare perché rappresentano una ghiotta occasione per le scorribande retoriche dei disturbatori abituali i quali non sempre sono in buona fede e, qualora lo siano, focalizzano l'incontro su aspetti parziali spesso di natura conflittuale. E' evidente che la partecipazione non può esorcizzare il conflitto, che anzi costituisce di solito il terreno fertile del confronto democratico, ma le attività di coinvolgimento dei cittadini hanno lo scopo di risolvere il conflitto, di trovare soluzioni costruite sul consenso, di arricchire le proposte con la creatività degli attori del territorio.  La radicalizzazione del conflitto ha la sua legittimità in sede politica e negli organismi preposti di democrazia rappresentativa quali i Consigli elettivi, ove il confronto può assumere i toni aspri dello scontro politico, ma se si riproducesse nelle sedi delle attività partecipative sarebbe un'impropria replica dell'azione politica.

E' opportuno che le amministrazioni che si cimentano nella promozione di approcci progettuali di tipo inclusivo approfondiscano, con tecnici esperti, i metodi più idonei per affrontare  il confronto con i cittadini. Pur non sottovalutando la creatività dei singoli promotori, tuttavia è consigliabile documentarsi sui vari metodi sperimentati e provare quello che si ritiene più idoneo, adattato opportunamente al caso di studio. Coloro che avviano un processo partecipativo, interni od esterni all'Amministrazione pubblica, devono operare anzitutto per creare un atteggiamento cooperativo e costruttivo che è facilitato dalla trasparenza delle azioni che si propongono.

I metodi  partecipativi possono essere collocate su tre livelli: l'informazione, la consultazione, la partecipazione progettuale.

L'informazione è il primo livello irrinunciabile: una buona, documentata e comprensibile comunicazione può essere risolutiva, almeno nei casi meno complessi.

Può essere di tipo passivo utilizzando giornali, depliant,  radio e televisioni locali, oppure interattiva: in questa tipologia possiamo annoverare  gli sportelli informativi, come gli URP (uffici informazioni con il pubblico) che ormai sono diffusi in ogni Amministrazione statale e locale, pur con esiti assai diversificati; alcuni tipi di laboratori di quartiere che svolgono prevalentemente una funzione di informazione sui programmi previsti o in corso da parte delle pubbliche amministrazioni; i siti Web interattivi  e videobox, ancora poco diffusi nel campo della gestione del territorio, ma che vedranno una grande evoluzione nel prossimo futuro. Anche il Consiglio comunale aperto o le Consulte su temi specifici possono essere inseriti nella categoria dell'informazione interattiva.

Quando è necessario invece ascoltare ed indagare in modo più mirato si ricorre a metodi strutturati di consultazione, che sono collocati  nel secondo livello dell'attività partecipata. Ciò che differenzia le attività di consultazione dall'informazione interattiva è il campo più ristretto dell'ascolto, nettamente mirato ad ottenere risposte più indirizzate alla soluzione di problemi specifici. Le modalità possono essere di tipo più aperto come una raccolta di opinioni e preferenze oppure più strutturato su alternative ben definite. Le tecniche più usate sono la diffusione di questionari, di cataloghi di scelte, talvolta rivolti a campioni selezionati di cittadini; quando è necessario giungere a soluzioni rapide, ove non è importante costruire insieme il progetto ma arrivare ad un'ipotesi che raccolga la maggioranza dei consensi, si promuovono referendum su alternative molto nette; nelle realtà urbane più avanzate dal punto di vista della rete civica ciò avviene anche per via telematica5.

Al livello più alto nella scala della partecipazione è collocato il coinvolgimento attivo nelle fasi di progettazione. Queste attività richiedono un coinvolgimento strutturato degli attori  e l'utilizzo di metodi collaudati che hanno tutti uno schema comune: a.individuazione dei rappresentanti dei diversi gruppi economici, sociali, culturali, istituzionali della comunità locale; b.formulazione di una vision condivisa dello sviluppo locale; c.individuazione delle priorità; d. elaborazione di un piano d'azione a breve medio e lungo termine; e. costituzione di gruppi di lavoro per l'attuazione del piano d'azione; f. attività di comunicazione e interazione con tutta la comunità.

A questo schema possiamo ricondurre le esperienze dei Forum Agenda 21, dei metodi usati nel mondo anglosassone come future search e action planning6 , o anche nei casi di elaborazione dei Piani strategici. Ciò chi li accomuna è infatti l'elaborazione di una visione strategica da cui discendono obiettivi e modalità di realizzazione degli stessi. Anche l'esperienza di alcuni Urban Center è riconducibile a questo schema , anche se con sfumature diverse secondo la realtà territoriale coinvolta7.  Il  metodo EASW (European Awareness Scenario Workshop) elaborato in sede di progetto europeo promosso dalla DG XIII della Commissione europea, ha l'obiettivo di elaborare scenari di sviluppo futuri individuando differenti combinazioni di tecnologia, politica pubblica e azioni promosse dai privati.

 

 

4. partecipazione e futuro delle città

Coloro che governano la città si trovano di fronte a due aspetti opposti: da un lato hanno maggiori poteri e competenze che in passato e sono  più legittimati agli occhi dei cittadini, dall'altro lato sono investiti più direttamente dalle pressioni di una società urbana più complessa e da un contesto nazionale e internazionale di competizione tra città. Perciò le Amministrazioni locali sono chiamate direttamente  a proporre ipotesi di sviluppo ed  elaborare piani strategici per il futuro, ricercando la collaborazione e la condivisione con i principali attori della realtà urbana. E' inevitabile che le ipotesi di sviluppo locale siano costruite superando i vincoli amministrativi delle pianificazioni separate, che il piano d'azione preveda forme di governo integrato del territorio. Ciò vale a tutte le scale di progettazione, dal piano strategico che deve guidare il piano regolatore e non viceversa, ai contratti di quartiere che dovranno evolversi verso la forma dei piani strategici alla piccola scala8. Le modalità dei rapporti di collaborazione tra società politica e società civile possono essere  le più svariate ma tutte sicuramente dovranno essere improntate alla massima trasparenza e capacità comunicativa. Le strutture preposte alla partecipazione organizzata non possono  essere  strutture  marginali o marginalizzate , le iniziative debbono avere ampia visibilità anche tramite i mezzi di comunicazione.

La legittimazione degli attori e delle proposte è direttamente proporzionale a due fattori: da un lato l'impegno della Pubblica Amministrazione nel considerare le indicazioni che da loro provengono ; dall'altro il grado di trasparenza ed efficacia del funzionamento  delle strutture della partecipazione che devono  avere regole molto esplicite.

Qualunque iniziativa dovrà avere una grande capacità di inclusione per favorire i soggetti deboli della città nel trovare nuove forme di  protagonismo sociale; allo stesso tempo non deve escludere i poteri forti che in un approccio partecipativo possono dialogare con gli altri rappresentanti della società civile sviluppando meccanismi di mutuo apprendimento. Vanno costruiti, in varie forme , percorsi virtuosi che facciano emergere ricchezze sopite, conoscenze inedite, intelligenza sociale, speranze condivise.

Il successo delle iniziative di partecipazione è legato anche alla capacità di introdurre elementi innovativi di tipo organizzativo e procedurale , che abbiano la forza di comunicare una volontà politica e tecnica di superare le logiche autoritative e autoreferenziali ,che contraddistinguono ancora i comportamenti di ampi settori della Pubblica Amministrazione, e proporsi invece permeabili all'ascolto, gentili, capaci di rinnovarsi e comunicare, innovativi anche nelle tecnologie  di progettazione e comunicazione9.

Le nuove sfide cui sono chiamate le città , in un panorama di competizione globale, impongono di valorizzare ogni risorsa umana e tecnica presente nel territorio e di orientare gli sforzi nella direzione di scenari condivisi dalla comunità locale. Ciò può essere reso possibile dall'acquisizione di un linguaggio comune che renda fluida e trasparente la comunicazione tra tutti gli attori del territorio, sia quelli istituzionali sia quelli della società civile.

"La partecipazione,come la democrazia, ha significato molte cose per molte persone. Le opportunità per la partecipazione sono a portata di mano ma solo se tutti coloro che sono coinvolti condividono una conoscenza e un linguaggio comune "10.

 

 

 

 

 

 



[1]  I principali “programmi complessi”

2 Un QC (Controllo di qualità) fondato sulla sola ispezione coinvolge soltanto una divisione dell'azienda, sia essa la divisione ispezione o la divisione QC; il loro unico compito consiste nell'evitare che i prodotti difettosi siano consegnati al cliente. Quando il programma QC è rivolto soprattutto al processo di lavorazione, tuttavia, devono essere coinvolti anche la catena di montaggio, i subfornitori, le divisioni acquisti, progettazione e marketing. In una terza fase, che vede una più avanzata applicazione del QC, anche tutto questo diventa insufficiente: la partecipazione dev' essere estesa a tutta l'azienda" (K. Ishikawa- Che cos'è la qualità totale p.38-Edizioni Il Sole 24 ore).

3 "Dobbiamo spostare l'accento sul consumatore. In passato si accettava che le aziende ritenessero di fare un favore al consumatore vendendogli i propri prodotti. Potremmo definire quest'atteggiamento "product out".Propongo invece un sistema "market in" in cui le esigenze del consumatore siano considerate di primaria importanza. In termini pratici propongo che le aziende studino le opinioni e le esigenze dei consumatori e ne tengano conto in fase di progettazione, produzione e vendita dei loro prodotti." (K. Ishikawa-idem)

4 "La bruttezza della tecnologia...non è insita nella tecnologia...la produzione di oggetti non può essere brutta di per se stessa, altrimenti la bellezza non sarebbe possibile neanche nelle arti, che a loro volta includono la produzione di oggetti. In realtà la radice della parola "tecnologia",technè in origine significava proprio" arte". Gli antichi greci non distinguevano concettualmente l'arte dalla manifattura, e quindi non crearono mai due parole diverse per definirle.

La bruttezza non è intrinseca nemmeno ai materiali della tecnologia moderna-affermazione che si sente spesso fare di questi tempi. La plastica e i prodotti sintetici fabbricati in serie non sono brutti di per sé. Rimandano a cose brutte per associazione.

La bruttezza vera non sta negli oggetti tecnologici. Né ,secondo la metafisica di Fedro, essa dipende dai soggetti della tecnologia,cioè da chi la produce o da chi la usa, ma sta nel rapporto tra chi produce la tecnologia e le cose prodotte,il quale determina poi un rapporto analogo  tra chi usa la tecnologia e le cose usate.

Fedro aveva la sensazione che nel momento in cui si percepisce la qualità pura,anzi,senza nemmeno la percezione, nel momento della qualità pura,non c'è soggetto né oggetto.Solo un senso della qualità dal quale in seguito sorge la consapevolezza di soggetti e oggetti. Al momento della qualità pura soggetto e oggetto sono identici.Questa è la verità tat tvam asi  delle Upanisad, ma sta anche alla base della capacità artigianale in tutte le arti tecniche. Ed è questa identità che manca alla tecnologia moderna,concepita dualisticamente. Chi crea la tecnologia non sente con essa alcun particolare senso di identità. Lo stesso vale per chi la possiede e per chi la usa. Pertanto ,secondo la definizione di Fedro, la tecnologia non ha qualità.

Il muro che Fedro aveva visto in Corea era  un prodotto della tecnologia; era bello ,ma non grazie ad un magistrale progetto,né a una supervisone scientifica del lavoro, né a spese esornative. Era bello perché gli uomini che lo costruivano vedevano le cose in un modo che li induceva spontaneamente a costruirlo nel modo giusto. Non separavano se stessi dal  lavoro in modo da farlo male."(R. M. Pirzig -Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta-p.281-Adelphi)

5 Il Comune di Lugo di Romagna ,in collaborazione con l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, ha elaborato nel 1996,durante la redazione della variante del Piano Regolatore Generale, un sito WEB organizzato in quattro sezioni: la mappa delle idee che invita alla formulazione aperta di proposte; scrivi al piano che apre una comunicazione diretta con gli uffici tramite email; rispondi al piano che propone un questionario per esprimere preferenze; gioca con il piano che è un gioco di simulazione teso ad accrescere il grado di conoscenza dei meccanismi di elaborazione del piano.

6 L'action  planning è il metodo utilizzato dall' USPEL (Ufficio Speciale Partecipazione e laboratori di quartiere del Comune di Roma) nella conduzione di attività di progettazione partecipata  a varie scale ( area vasta, quartiere, ristrutturazione di edifici industriali dimessi).

7 Il San Francisco Planning and Urban Research Association è una struttura leggera di tre persone che è in grado di animare un vasto dibattito sulla città coinvolgendo circa 60 soggetti rappresentativi della città che elaborano proposte da sottoporre all'Ammnistrazione Comunale.

L'Urban Center di New York è un edificio, localizzato in un luogo molto accessibile e centrale, che fornisce spazio per dibattiti e mostre promosse dalle associazioni locali che intendono mostrare le loro proposte ad altri soggetti della città.

8 L'art.142 della legge 10/2001 della Regione Lazio  contribuisce ai nuovi contratti di quartiere promossi dal Comune di Roma con un finanziamento indirizzato per il 60% alle opere urbanistiche o edilizie, 20% per attività di sviluppo dell'economia locale, 20% per il sostegno ad attività sociali.

9 Vedi la ricerca promossa dall'USPEL-Comune di Roma : "Le ragioni della partecipazione nei processi di trasformazioni urbana" a cura di ECOSFERA su sito www. comune.roma.it/uspel

10 Batson in "The guide to effective partecipation" di D. Wilcox , 1994, Partnership Books,Brighton.