PRINCIPALI FASI DELLA TRASFORMAZIONE URBANA
 
 
 
  0 SCHEMA GENERALE
 
  1 FORMAZIONE DELLA CITTA INDUSTRIALE
    XIX secolo
 
  2

FORMAZIONE DELLE
AREE URBANE E METROPOLITANE

    1900-1970
 
  3

CITTA' DIFFUSA,
RIUSO E RIQUALIFICAZIONE

    1970 - OGGI
 
 
 

Scheda 4  FORMAZIONE DELLA CITTA' INDUSTRIALE XIX secolo

Piano Regolatore e di Ampliamento
1873

 

IL PIANO REGOLATORE DEL 1873 (Pianciani e Viviani)

ANTEFATTI

Alle ore 10 del 20 settembre 1870 l’esercito italiano entra a Roma dalla breccia di Porta Pia. Tre giorni dopo il generale Cadorna insedia la Giunta municipale, presieduta dal duca M. Caetani.
Il 30 settembre la Giunta costituisce una Commissione di 11 ingegneri e architetti “la quale si occupi di progetti di ampliazione ed abbellimenti della città per poi sottoporli all’approvazione della Giunta Municipale.” [1] La commissione sarà presieduta da P. Camporesi, e ne farà parte tra gli altri l’ing. A. Viviani.
Il 13 novembre 1870 si tengono le elezioni amministrative per il Consiglio Comunale.
Il 1 luglio 1871 la Corte si trasferisce al Quirinale.

Nel 1871 la popolazione residente nel Comune di Roma [2] è di 244.484 persone. La superficie del Comune di 203.350 ha (entro le mura 1470 ha circa, di cui 400 edificati) [3]

Il 28 novembre 1871 il Consiglio Comunale approva uno schema di Piano che prevede l’espansione urbana soprattutto verso est.
Il voto del Consiglio dà ragione a chi, come Q. Sella [4] o Monsignor De Merode [5] sostiene da tempo che la città debba svilupparsi “verso l’altipiano orientale dove migliori sono le condizioni igieniche, più piacevoli le viste, più fermo e asciutto il suolo” [6] . Banche piemontesi e genovesi, imprese romane hanno investito su molti terreni in questa direzione. In questa direzione, lungo via XX settembre, erano stati localizzati, secondo le indicazioni di Q. Sella, i Ministeri delle Finanze e della Guerra In seguito lungo la stessa direttrice ne verranno localizzati altri (Agricoltura e Foreste, Lavori Pubblici e Trasporti, Lavoro) ma altri ancora saranno costruiti in parti diverse della città (Grazia e Giustizia a via Arenula, Istruzione a Trastevere, Marina a via Flaminia, Interni al Viminale).

Secondo Insolera, nella polemica che inizia ora e “che tornerà sempre nella storia di Roma moderna” se la città debba espandersi ad est, oppure ad ovest, ovvero nelle due direzioni [7] , con l’approvazione dello schema di Piano del 1871 i sostenitori dell’espansione ad est riportano una vittoria. In realtà questa alternativa è stata, nel corso di un secolo, fortemente “ideologizzata”. E’ singolare che dei due autori che nel secondo dopoguerra ne hanno parlato più diffusamente in relazione ai primi due decenni post unitari, e cioè A. Caracciolo e I. Insolera, il primo attribuisca all’espansione ad est un carattere di conservazione “ . . . la direttrice indicata [ da Q. Sella ] di estendere cioè la superficie urbana verso la zona alta e ancora disabitata racchiusa dalle mura verso oriente, è la più prudente e conservatrice tra quelle in discusione” [8] . Mentre il secondo, all’opposto, consideri conservatrice la scelta dell’espansione ad ovest e innovatrice quella ad est [9] . In realtà queste interpretazioni possono essere state influenzate dalle simpatie “politiche” degli schieramenti di proprietari e imprenditori che propugnano l’una o l’altra soluzione, in ragione degli investimenti e delle speculazioni immobiliari alle quali sono interessati.

Nel 1872 un gruppo di proprietari di terreni nella zona dei Prati di Castello presenta un progetto di massima per la costruzione di un nuovo grande quartiere, che sarà al momento accantonato, ma tornerà nell’anno successivo.

IL PIANO REGOLATORE DEL 1873

18 ottobre 1873: approvazione in Consiglio Comunale del Piano Regolatore elaborato dall’Ufficio d’Arte Comunale diretto dall’ing. Alessandro Viviani. Il Sindaco è Luigi Pianciani.

Dimensionamento e struttura

Il piano si riferisce al territorio entro le mura (circa 1.500 ha) prevede nuovi quartieri per poco più di 150mila abitanti su 278 ha e una zona industriale di circa 28 ha (Testaccio). Gli ampliamenti principali sono ad est, per quasi metà della crescita demografica complessiva (48%) e ad ovest in riva destra del Tevere per circa un quarto (23%). In realtà l’ampliamento della città ad ovest (Prati di Castello) non è formalmente inserito nel piano, bensì approvato come progetto esterno al piano (sarà inserito, ampliato, nel piano del 1883). Nelle zone già edificate si prevedono integrazioni o completamenti (Trastevere, Gianicolo) per circa un altro quarto dell’aumento di popolazione (26%); nell’area di Testaccio, assieme alla zona industriale, si prevedono nuove case per una quota molto piccola (3%).

In particolare gli ampliamenti (in rosso nella mappa) e le rispettive densità territoriali (stima) sono:

Nuovi quartieri [10] :

sup. territ.

abitanti

densità

(ha)
(unità)
(ab/ha)
Terme-Via Nazionale
11
6.000
545
Castro Pretorio
40
22.000
550
Esquilino
66
35.000
530
Viminale
9
5.000
555
Celio
9
5.000
555
Testaccio [11]
8
4.000
500
Abitato esistente
(Trastevere, Gianicolo, ecc.)
70
40.000
571
Prati di Castello [12]
65
35.000
538
Totale
278
152.000
546 ab/ha

Rete stradale

Poiché i nuovi quartieri circondano la città storica, per spostarsi dall’uno all’altro si prevedono arterie che la attraversano rendendo necessarie molte demolizioni (in nero nella mappa). Queste sono finalizzate solo all’attraversamento, non a creare una diversa organizzazione dell’intero sistema stradale urbano. Non c’è, nel piano del ’73 alcuna ispirazione che venga dalle trasformazioni urbane che hanno caratterizzato la scena europea negli ultimi venti anni. Non si guarda né alla Parigi di Haussmann, né alla Barcellona di Cerda, né alla Vienna del Ring.
Tra le principali demolizioni previste dal piano ed effettuate negli anni successivi si ricordano quelle di corso Vittorio, di via delle Muratte (parte), di via Tomacelli, di via del Tritone, di via Arenula, di via Cavour, di alcuni tratti dei Lungotevere.
Nella sua relazione al piano l’ing. Viviani dà grande enfasi all’organizzazione di alcuni sistemi stradali destinati a rendere “permeabile” la città storica, vista come un “intricato labirinto di anguste vie” da raddrizzare, collegare o disegnare ex novo per rendere agevole il transito.

Vie poligone che costeggiano le rive del Tevere
Sono alcune sequenze di strade esistenti in riva sinistra del Tevere (di Ripetta, di Monte Brianzo e Giulia) e in riva destra (Borgo S. Spirito, della Lungara e Lungaretta) da rettificare e collegare tra loro. Tra gli interventi proposti vi è quello di prolungare via Condotti “che per una fortunata combinazione fa capo al Ponte di S. Giovanni dei Fiorentini (sic !). Si avrà così un rettilineo di 1.800 metri [più dei 1.500 metri di via del Corso dunque !] il quale ha punti singolari di bellezza e di comunicazione” [13] . Per ottenere un simile “rettilineo” il piano prevedeva demolizioni da Via Zanardelli (realizzata) fino a Via Paola e Via Giulia che avrebbero sventrato Piazza S. Salvatore in Lauro e rovinato il tridente “paolino” (fortunatamente non realizzate). In riva destra del Tevere il piano prevede il prolungamento di via della Lungara per congiungersi con via di S. Francesco a Ripa e via della Lungaretta, da allargare, sventrando piazza S. Maria in Trastevere e realizzando “una linea quasi retta di oltre due chilometri”. Anche in questo caso le demolizioni fortunatamente non sono state realizzate.

Arterie principali longitudinali
In realtà si tratta del mero prolungamento, con conseguenti sventramenti, delle tre strade “sistine” - le vie di Ripetta, del Corso e del Babuino - che “s’arrestano poi senza comode comunicazioni coi Rioni Trastevere e Monti”. Alle arterie principali longitudinali si aggiungono quelle “secondarie longitudinali”, tra le quali basta citare il prolungamento di via dei Serpenti fino al Colosseo (attuale via degli Annibaldi) per collegare il centro al nuovo quartiere del Celio e, attraverso “lo stradone di S. Gregorio e per la via di S. Paolo rettificata” (attuale viale Aventino) al “quartiere industriale di Testaccio”.
Da segnalare che nel grande triangolo tra Porta S. Paolo, via Marmorata e piazza Albania (attuale parco della Resistenza dell’8 settembre) il piano prevede una edificazione compatta.

Arterie principali trasversali
Il Piano definisce altre strade “non meno importanti che dovrebbero attraversarla [la Città] nell’altro senso, e che completerebbero la grande rete di circolazione”. In realtà anche in questo caso il piano utilizza tracciati esistenti, ma li snatura cercando allineamenti, ampliamenti e rettifiche ove il tessuto storico era continuo e compatto. E ciò ottiene attraverso un gran numero di demolizioni, fortunatamente realizzate solo in parte. Sono previsti:

il prolungamento di via del Tritone (realizzato) fino a sfociare di fronte al Palazzo Chigi e di qui, “correggendo” le vie degli Uffici del Vicario, della Stelletta e dell’Orso (demolizioni non realizzate) fino al previsto nuovo Ponte Umberto (realizzato) in asse con piazza Cavour;

il prolungamento di Via Nazionale fino al Palazzo Sciarra, e di qui con ulteriori demolizioni per via dei Pastini e Piazza del Pantheon, anch’essa da sventrare fino alla chiesa della Maddalena. Demolizioni che, se realizzate, avrebbero fatto impallidire quella della spina di Borgo “per far posto alla vista della cupola di Michelangelo”, pure prevista, iniziata dopo oltre 60 anni, nel 1936, dal regime fascista e poi conclusa negli anni ’50 del secondo dopoguerra.
Ancora, afferma Viviani, “una strada importantissima per enorme transito è quella volgarmente chiamata la via papale dal Gesù al ponte S. Angelo” cioè l ‘attuale Corso Vittorio in gran parte realizzato secondo le previsioni del piano.

Le larghezze delle strade nei nuovi quartieri sono indicate in: 12 m, 16 m, 18 m, 22 m, 25 m. Si indicano 30 m per i viali che circondano i quartieri; 40 m per le passeggiate e i pomeri.
“Ma per le arterie da aprirsi o da migliorarsi nell’interno dell’attuale abitato stimiamo che debba moderarsi il desiderio di grandi ampiezze . . .” [14] . Le strade all’interno della città storica varieranno dai 12 metri (strade secondarie) ai 15 o 16 (strade principali) e arriveranno ai 18 metri nei tratti “riconosciuti di massima importanza”.

Quanto ai tipi edilizi il piano non li definisce, né in termini generali né in relazione ai singoli quartieri o alle loro parti. In genere i fabbricati che si realizzano dopo il piano sono “case di affitto” di quattro o cinque piani, più il piano terreno, che si erano andate affermando dall’inizio del secolo e che avevano caratterizzato l’espansione ottocentesca di Torino.
Sono tipi oggi ben visibili nei quartieri dell’Esquilino, del Celio, di Castro Pretorio, di Prati di Castello, sostanzialmente realizzati secondo le previsioni del piano del ’73. In qualche caso, come lungo il perimetro di piazza Vittorio, secondo la tradizione torinese e settentrionale in genere, si sono introdotti i portici.

Il piano di Viviani è dunque un piano di ampliamento progettato senza riferimenti veri alle esperienze europee, con una visione banale della città storica (“intricato labirinto di anguste vie”), senza un’idea guida se non quella di “rispondere alle esigenze delle comunicazioni”, al più integrata da una attenzione alla “condizione della pubblica igiene” che in molti casi resta però una mera intenzione [15] . Apparentemente il riferimento possono essere gli sventramenti haussmaniani per la realizzazione delle nuove arterie: ma a Parigi c’era un sistema e un’idea della nuova città borghese da realizzare, alla quale corrispondeva una strategia economico-finanziaria per le trasformazioni. A Roma non ci sono né sistema né strategia.

Sul significato del piano stesso l’ingegner Viviani e il sindaco Pianciani non vanno d’accordo.
Per Viviani
è uno strumento, per così dire “facoltativo” molto duttile nelle mani dell’amministrazione.

“Il piano regolatore quando sia con tutte le formalità di legge approvato, non impone al Comune l’obbligo di generale esecuzione. Questi è libero di costruire alcune delle sue parti, se e quando amministrativamente gli convenga, entro il periodo di venticinque anni, durante il quale l’utilità pubblica è riconosciuta dalla legge sulle espropriazioni in tal genere di opere . . .Che se meglio gli convenisse lasciar decorrere il tempo e rinunciare a questa esecuzione , il Comune è pur libero di farlo.”

I vantaggi di avere un piano regolatore approvato sono, per Viviani, due: che i privati se vogliono costruire o modificare devono attenersi alle linee del piano, e che il Comune può procedere direttamente agli espropri “quando gli talenti eseguire direttamente una via, una piazza, una parte qualunque del piano regolatore” [16] . Proprio “l’indefinito modo e tempo di esecuzione” è il motivo per cui Viviani si ritiene esonerato dal produrre qualsiasi stima dei costi relativi alle opere del piano.

Al contario il sindaco Pianciani dà un valore assai più impegnativo al piano, che afferma potersi completamente realizzare nel termine dei 25 anni previsti dalla legge, anzi

“. . .in uno spazio di quindici anni siccome io vorrei, giacché affrettandosi l’esecuzione di quei lavori si affretterebbero secondo me i vantaggi che la Città nostra ha il diritto di aspettare” [17] .

Per il sindaco l’aspetto essenziale del piano è che nel suo insieme le opere che esso prevede siano dichiarate di pubblica utilità. Il vincolo così imposto alle proprietà “invece di esserle dannoso [ alla Città ] le è utile, invece di diminuirne il valore l’accresce . . . I proprietari degli edifici, compresi nelle modificazioni da farsi per i Piani Regolatori, hanno fatto in ogni luogo degli stupendi guadagni.” Pianciani è convinto che il Comune debba entrare attivamente nella realizzazione del piano, acquisendo le aree dove dovranno sorgere gli edifici, realizzando strade e sottoservizi e poi rivendendo le aree ai costruttori. All’Esquilino egli inizia una operazione del genere [18] . Ma l’operazione non avrà buon esito. Anzi di lì a poco gli insuccessi e i sovra costi nella realizzazione di via Nazionale saranno fortemente criticati dagli avversari di Pianciani che coglieranno l’occasione per metterlo in minoranza.

Il nuovo sindaco Venturi, che succede a Pianciani nel luglio 1874, sospende le iniziative di esproprio e non perfeziona l’approvazione del piano. La delibera comunale non sarà mai inviata al Re per il decreto. Il primo Piano di Roma non diventa legge.

 



[1] Citato in: I. Insolera, Roma moderna, 1962, Einaudi, Torino, 1962,ed. 1993, p. 12

[2] Fonte ISTAT, Censimenti della popolazione, in Svimez, Un secolo di statistiche italiane, Nord e Sud, 1861-1961, Roma, 1961

[3] Vedi G. Cuccia, Urbanistica, edilizia, infrastrutture di Roma Capitale 1870-1990. Una Cronologia, Bari 1991, p.50

[4] Quintino Sella, ministro delle finanze e esponente della destra storica “dalla personalità così dominante nella prima età dell’Italia unita” (Vedi A. Caracciolo, Roma capitale, dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Edizioni Rinascita, Roma, 1956, p. 61), fu uno dei più attivi assertori della necessità che Roma fosse capitale dell’Italia unita, dell’intervento armato nel 1870, dell’immediato trasferimento della Corte e del Parlamento. Da uomo della destra “In una soverchia agglomerazione di operai in Roma – sosteneva – io vedrei un vero inconveniente, perché credo che qui sia il luogo dove si debbano trattare molte questioni che vogliono essere discusse intellettualmente  . . . ma non sarebbero opportuni gli impeti popolari di grandi masse di operai” (ivi, p. 63)

[5] Monsignor F.F de Mérode, ex ufficiale dell’esercito francese, dal 1848 prelato assai influente in Vaticano, è protagonista di numerosissime operazioni immobiliari e speculative per oltre un ventennio

[6] A. Caracciolo, cit, p. 64

[7] I. Insolera, cit, pp. 22-23

[8] Caracciolo, cit, p. 64

[9] I. Insolera, cit, pp. 18-25

[10] Fonte Relazione Viviani al piano regolatore presentata al Consiglio Comunale il 4 luglio 1873, in Urbanistica 28/29, 1959, p. 83

[11] Il quartiere di Testaccio è previsto su 36 ha, 28 dei quali destinati a impianti industriali

[12] Formalmente non inserito nel Piano, ma citato nella relazione di Viviani come possibile nuovo quartiere.

[13] Tra i  punti di singolare bellezza viene indicato “l’attraversamento del Corso, la vista di via Tomacelli allargata”. L’idea è quella di traguardare da largo Goldoni per via Tomacelli , il nuovo Ponte Cavour, via V. Colonna, piazza Cavour (di cui questo asse disegna la diagonale), via Crescenzio, Piazza Risorgimento, fino al Bastione di Belvedere delle mura vaticane. In questo caso il grande rettilineo “colla lunghezza di metri 2.000” sottolinea Pianciani, si sarebbe realizzato non solo attraverso demolizioni del tessuto antico, ma anche con gli allineamenti pianificati nella realizzazione del nuovo quartiere dei prati di Castello. Colpisce che in questa frenesia di tracciare “rettilinei” non si faccia alcun riferimento alla dimensione effettiva delle sezioni stradali (v. relazione Viviani, ivi, p. 84).

[14] v. relazione Viviani, ivi, p. 86

[15] Nella relazione tecnica di Viviani c’è una sottolineatura dello stato deficitario della rete dei sottoservizi (fogne, acqua, gas) : “nulla in genere potrebbe immaginarsi di più difettoso n ella forma e nella fattura, di quanto costituisce il sotterraneo servizio della nostra Città. S’è giunti a perdere le traccie di questo labirinto e si è dovuto continuare con successivi ripieghi, non seguendo più alcun concetto, alcun sistema. E ciò forse non è né l’ultima, né la meno grave cagione della poco felice condizione della pubblica igiene di Roma, durante almeno l’estiva stagione” (Viviani, ibidem). Dopo una analisi così severa, tuttavia, gli interventi di risanamento sono stati scarsi. La questione del sistema dei sottoservizi, delle sue carenze, della mancanza di sistematicità, di applicazione coerente di metodi tecnici avanzati, della scarsa conoscenza dello stato delle reti,  percorre tutta la storia di Roma moderna per arrivare ai giorni nostri.

[16] La legge sulle “Espropriazioni per causa di pubblica utilità” (n. 2359 del 25 giugno 1865) fissa l’indennità espropriativa nel “giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compra vendita” (art. 39) fissa la durata venticinquennale (art. 87) dei piani regolatori di ricostruzione (art. 86) o di ampliamento (art. 93) delle città e stabilisce, tra l’altro, l’obbligo dei privati di “uniformarsi alle norme tracciate nel piano [regolatore]” (art. 89).

L’indennità espropriativa sarà modificata 20 anni dopo dalla legge per il risanamento della città di Napoli (n. 2892 del 15 gennaio 1885) che la fisserà nella “media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio . . . in difetto di tali fitti accertati . . .sarà fissata sull’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati” (art. 13).

In proposito v. Scheda 8

[17] V. discorso del sindaco Pianciani sul piano regolatore (4 luglio 1873),

[18] Insolera, cit, p. 33

 
 

Corso di URBANISTICA
Prof. Domenico Cecchini

Università degli studi di Roma
"La Sapienza"
Facoltà di Ingegneria